Kawaii (かわいい o 可愛い ), aggettivo giapponese letteralmente corrispondente all’inglese “cute” e al recente italiano “carino”.
Chi non ha mai sentito questa parola? La maggior parte di noi l’avrà conosciuta attraverso manga, anime o drama nipponici sicuramente strillato da qualche ragazzina in divisa scolastica. Non è un neologismo ma viene riutilizzata frequentemente a partire dal XX secolo quando diventa una vera e propria cultura giovanile.
Il fenomeno nasce negli anni ‘80 con il boom dei gadget relativi a personaggi di anime, da lì in poi “Kawaii” tende a indicare principalmente un oggetto carino, adorabile, dalle fattezze piccole e tenere, di solito dai colori chiari pastello (come scordarsi di Hello Kitty, la gattina rosa e bia
nca diventata simbolo di una nazione?). Con il passare degli anni tuttavia assume una connotazione diversa allargandosi per significato non più solo a degli oggetti inanimati ma a un vero e proprio stile di vita, diventando una cultura, il modo di vivere di una fascia di ragazzi giapponesi che finirà per estendersi fino all’inverosimile, passando ogni confine d’età o stato.
Il kawaii diventa nel XXI secolo una moda affermata, realizzando praticamente, e non più attraverso manga e affini, il sogno delle ragazzine giapponesi di essere “carine”. Si rende necessario un cambiamento non solo di tipo estetico ma comportamentale manifestato generalmente nella timidezza; anche il linguaggio subisce un’evoluzione che preferisce usare parole dal suono dolce (es. chu – ormai sinonimo di bacio), il parlare di sè in terza persona e l’uso dei suffissi tan e chan più accentuato.
Una ragazza è tanto più kawaii quanto ricorda una bambolina. Tanto più è ingenuo tanto più piace, anche se è artefatto. Il kawaii diventa un’ideale, sia nei ragazzi che nelle ragazze.Ora, pensiamo al prototipo giapponese tutto serietà e lavoro e opponiamo dall’altro lato dei giovani che fanno del kawaii il loro stile di vita. Contrapposizione interessante che vede in questo fenomeno un disagio sociale esplicitato nella voglia di restare bambini attraverso l’adorazione di tutto ciò che lo ricorda e il bisogno di una battaglia ideologica contro il fantasma del giappone tradizionalista (la cosiddetta cultura del samurai). Ne esce fuori una nazione spezzata in due, che guarda al futuro e alle sue tendenze ma è saldamente ancorata al passato.
Ma si può definire una cultura stringendola in un certo numero di canoni? Alla fin fine il “kawaii” è un atteggiamento, un modo di prendere la vita alla leggera ma con piacere, fenomeno del consumismo del nostro secolo, che ha influenzato la stragrande maggioranza dei ragazzi giapponesi. Il kawaii rappresenta una forma di liberazione dalla società statica, un voler essere diversi a ogni costo e mettere in primo piano l’estetica (in questo caso le cose carine, adorabili) che suscitano sentimenti positivi e piacevoli alla condizione dell’adulto serio e della cultura zen.
Questo è il Giappone moderno, pieno di contraddizioni, in una costante battaglia con se’ stesso e la trasformazione.