Mai il Giappone, seconda maggiore economia del mondo, è stato così vicino alla bancarotta da dopo la seconda guerra mondiale.
Ieri l’indice Nikkei di Tokyo ha registrato infatti la sua perdita più grande in un giorno da quando è stato fondato nel 1949: un serissimo – 9,6 per cento.
L’indice si è fermato a 8.276,43 punti, con una perdita del 24 per cento, quasi un quarto del suo valore totale, in una sola settimana. A questi livelli molte delle società quotate in Borsa sarebbero tecnicamente fallite, perché l’indebitamento è maggiore del valore dell’azienda.
Lo yen d’altra parte si sta apprezzando sul dollaro e sull’euro, e anche questa è una notizia ferale, perché significa meno competitività per le esportazioni nipponiche.
Ormai in Asia la crisi è peggiore di quella del 1997, quando interi Paesi come Indonesia, Sud Corea o Thailandia vennero travolti. Nemmeno allora il Giappone perse così tanto in così poco tempo.
Come allora anche Hong Kong è sotto assedio. L’indice Hang Seng del territorio ieri ha ceduto il 7,2 per cento, raggiungendo una perdita del 16 per cento in una settimana, la maggiore dal gennaio del 1998, a ridosso della crisi asiatica.
Soprattutto Hong Kong sta tagliando i tassi di interesse in maniera diversa del solito. Le autorità del territorio hanno annunciato che ridurranno il tasso di interesse dell’1 per cento, portandolo al 2,5% per immettere nuova liquidità nel sistema. In passato Hong Kong seguiva però la Fed americana, che ha portato il tasso al 2%.
La differenza è importante anche perché il dollaro di Hong Kong è tecnicamente ancorato al dollaro americano: la di fatto banca centrale del territorio ha depositi di dollari Usa per un controvalore dei dollari di Hong Kong in circolazione.