La mia prima volta in Giappone

La mia prima volta in Giappone

di Alessandro “DocManhattan” Apreda

È l’autunno del 2004, ed è un giorno che sembra uguale a quello che lo ha preceduto e a tutti gli altri, nella redazione in cui al tempo lavori, non fosse per quella telefonata. Un amico, che lavora in un’altra azienda, ti chiede se ti va di andare con lui in Giappone, a gennaio. Un viaggio di lavoro, ti dice. Dieci giorni in giro per aziende che producono anime.

Non è semplice raccontare le sensazioni che hai provato durante quella telefonata, ormai più di tre lustri fa. Perché il Giappone non era quello che avresti frequentato così tante volte negli anni successivi, un luogo del cuore dove ti senti ormai a casa più che nella tua città, e dal quale solo questo brutto incubo su scala planetaria che stiamo vivendo ti ha momentaneamente allontanato

Il Giappone allora, per te,

era qualcosa di completamente diverso.

Un posto da sogni ancora troppo lontano, il luogo in cui erano nati buona parte degli eroi del tuo immaginario, in cui le nuove console uscivano mesi e a volte anni prima, in cui si respirava quel tipo di atmosfera che tu avevi solo provato a immaginare, nel tempo, leggendo tutti quei manga, guardando tutti quegli anime, giocando tutti quei giochi. Ora non solo ti si si prospettano così, quando proprio non te l’aspettavi, una decina di giorni a Tokyo, ma per trattare l’acquisto di anime, facendo visita alle aziende che tanti di quegli eroi di cui sopra li hanno creati. Al termine della telefonata, riattacchi e resti a guardare la parete di fronte alla scrivania per almeno un quarto d’ora. L’unica parete bianca del tuo ufficio. Non sai cosa dire, non sai cosa pensare o come sentirti. Hai solo questo sorriso da ebete stampato in viso, e te lo porterai dietro fino alla partenza.

Poi le settimane scivolano lente, troppo lente in avanti. Sei a Malpensa e dopo in un volo diretto della JAL per Narita. Tu e il tuo amico siete gli unici italiani a bordo. Durante tutti quei dieci giorni a Tokyo, non solo non incontrerete dei connazionali – pur dormendo in un grosso albergo di una nota catena, a Shinjuku – ma i gaijin in cui vi imbatterete saranno pochissimi. Nel senso di, beh, pochissimi: meno di dieci? Meno di dieci.

Un po’ perché è gennaio, c’è un freddo polare, non è il massimo per fare del turismo. Molto perché il grande boom turistico del Giappone non c’è ancora stato. Nella percezione di tanti italiani, a inizio 2004 Tokyo è ancora una meta troppo costosa, come lo è stata durante la bolla degli anni Novanta. Non è già più così, e le cose ai tempi stanno cambiando in fretta. Al ritorno, il 97% delle tue conoscenze ti chiederà se è vero che un caffè a Tokyo costa cinquemila lire. La tua risposta standard per tutti sarà: “Hai presente che siamo passati all’euro da due anni, sì?”

Eppure tanto di quello che vedi della metropoli nipponica in quel primo viaggio avrebbe mutato pelle rapidamente nel volgere di tre o quattro anni. C’è, come dire, ancora tanto del Giappone anni 90, dal gap tecnologico rappresentato da quegli avveniristici telefonini a conchiglia con la TV che usano lì – gap poi brasato dalla globalizzazione chiamata, nello specifico, iPhone – alle mode giovanili, alla presenza massiccia di templi dedicati al retrogaming che vedrai cadere come mosche. Tra un appuntamento di lavoro e l’altro, ti commuovi davanti a un quadro di Ashita no Joe, guardando per la prima volta un anime robotico che non è ancora sul mercato, parlando con un’erede di Tezuka. E ti disintegri un labbro per far finta di bere per cortesia un caffè troppo bollente, nella sede della Kodansha che è troppo bella per essere vera. Ma non è tutto quello a sorprenderti, stranamente.

“l tuo amico è biondo, tu hai delle basette fino al mento tendenti al rosso, siete sostanzialmente un corpo estraneo”

 

È la Tokyo vera che vedi scivolare dietro quei finestrini di un taxi bagnati dalla pioggia, è l’Akihabara ancora un pelo inquietante ma meno omogenea e omogeneizzata dall’apertura degli anni successivi legata al progetto Cool Japan. È il fatto che in qualsiasi locale vi fermano per chiedervi da dove venite, che cosa portate, un fiorino. Il tuo amico è biondo, tu hai delle basette fino al mento tendenti al rosso, siete sostanzialmente un corpo estraneo in quel mondo di salaryman e office lady ancora non uso alla presenza massiccia di gaijin che sarebbe venuta poi.

Giri tre milioni di negozi per trovare una PSP, che è appena uscita ed è già sorudoauto (braccia del commesso incrociate sul petto) ovunque. Finite a mangiare cose improbabili perché nessuno di voi spiccica una parola e non trovate nessuno che parli inglese. Molti cartelli in giro, perfino nella metro, sono scritti solo in giapponese. Vi perdete un sacco di volte, e quando succede scoprite quanto sia comodo chiamare un taxi ovunque semplicemente alzando un braccio. Anche per sbaglio. Poi vi rilassate su quel sedile coperto da centrini bianchi in stile nonna della pubblicità della candeggina e… si perde anche il tassista. Lasci la macchina fotografica proprio sul sedile di un taxi, te ne accorgi quando è dall’altra parte della città, ma incredibilmente al concierge riescono a rintracciarlo. Quando torna indietro, dopo aver riattraversato per colpa mia un bel pezzo di città, il tassista mi porge la fotocamera con dei profondi inchini. Scusandosi perché il suo sedile si è impadronito della mia macchinetta. Ti verrebbe da abbracciarlo, quel signore che ti ha appena restituito una compatta e tutte le foto degli ultimi giorni, ma pensi non sia il caso.

Accumuli tanti ricordi che non ti abbandoneranno più, mentre stimati professionisti del settore scrutano il tuo biglietto da visita e provano a pronunciare il tuo nome (Aressandoro). Ma la cosa più importante è quella sensazione che s’impadronisce di te dalla prima sera e non ti molla più fino alla ripartenza. Non è solo stupore, è una sorta di presa di coscienza: il Giappone che hai sognato e immaginato non era esattamente come quello vero, per forza di cose. E la realtà sta sovrascrivendo quei venticinque anni di sogni, tutti quei quadri che ti eri fatto in testa guardando quelle celebri puntate di Turisti per Caso, e più indietro leggendo quelle riviste sui manga, e più indietro ancora sentendo parlare di questo luogo lontano ai tempi della prima robot invasion, a fine anni Settanta. Ai tempi, cinquenne con tanti sogni, non sapevi neanche dove fosse il Giappone. Ma era lì che creavano i Mazinga e i Gundam, e quegli orologi digitali bellissimi.

“Alessandro? Ah, Alessandro Del Piero”

La Tokyo reale non era più brutta o più bella di quanto avevi immaginato. Era solo più vera, una botta sinestetica di luci, suoni, colori, odori, persone. Per dieci giorni dormi pochissimo, perché resti incollato al televisore a guardare pubblicità sceme, anime, tokusatsu. Quando ripartite, sei talmente distrutto che in aereo, terminata una partita a Lumines, ti fai un unico sonno fino a Malpensa. Poco prima, il tuo vicino di posto, un ragazzo giapponese esaltatissimo per il suo primo viaggio in Europa, ti chiede qual è il tuo nome. Glielo dici, e immagini farà difficoltà pure lui a pronunciarlo bene, ti asp… “Alessandro? Ah, Alessandro Del Piero,” ti dice senza un mezzo secondo d’esitazione. E lo dice con lo stesso tono con cui l’avrebbe detto Maurizio Mosca. Ti addormenti con un sorriso.

QUALCHE LETTURA CONSIGLIATA

A TEMA GIAPPONE

Tokyo cyberpunk

Ho avuto già molte volte modo di parlarvi di TO:KY:OO, il bellissimo libro fotografico di Liam Wong, ma è un titolo che non può mancare in una carrellata come questa. Introdotto da una prefazione di sua maestà Hideo Kojima, questo libro raccoglie una serie di scatti di Wong (scozzese di Edinburgo che ha vissuto in Canada e lavora nel mondo dei videogame pure lui) sotto una luce diversa. Quella al neon dell’immaginario cyberpunk. Da sempre, gli accostamenti tra la capitale giapponese e film come Blade Runner si sprecano, e Wong è riuscito a trasformare gli scorci notturni di Tokyo in un sogno cyberpunk evocativo, senza tempo. Un must sia per gli amanti di questa meravigliosa città, sia per gli appassionati di fotografia, per l’occhio pazzesco e la tecnica messi sul piatto dall’autore.

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I Love Japan

Tempo fa avevamo parlato del primo libro de La Pina dedicato al Giappone, il suo I Love Tokyo . Ora la celebre deejay allarga il campo, con un nuovo volume, I Love Japan, che appunto va oltre la capitale. Un viaggio con suo marito Emiliano Pepe che diventa, per lei, nippofila irriducibile e grande conoscitrice di questo paese, una serie di itinerari consigliati. Per scoprire luoghi magici del Giappone, “a zonzo per un Paese capace di regalare sensazioni incredibili”. Venti tappe che, partendo da Tokyo, è possibile incastrare a piacimento, nell’ordine che si vuole, per conoscere un Giappone di volta in volta più autentico, bizzarro, poetico. O, per dirla con La Pina, semplicemente “pazzesco”.

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La Bellezza del Giappone Segreto

Quello di Alex Kerr è un approccio unico al Giappone e ai giapponesi: la storia di un ragazzo americano che si ritrova a vivere nel Giappone degli anni 60 perché il padre è un ufficiale USA di stanza a Yokohama. E in Giappone Kerr torna a vivere poco dopo, trascorrendo nel suo paese adottivo oltre trent’anni della sua vita. Sono in Giappone da molto meno, ma conosco bene il richiamo di questa terra. Gran collezionista di arte giapponese e studioso della cultura nipponica, Kerr racconta nel ’93 ne La bellezza del Giappone segreto, un libro che decise di scrivere e pubblicare in giapponese, tutto ciò che di quel paese lo affascina. Ma non si tratta semplicemente di una dichiarazione d’amore, perché, filtrata attraverso la sensibilità dell’autore, c’è anche una critica all’identità che il Giappone in continua evoluzione sta perdendo. Gli anni caotici della grande Bolla, le tradizioni e l’appiattimento culturale, il paesaggio, la storia, il domani.

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Alessandro DocManhattan Apreda
Alessandro DocManhattan Apreda
Alessandro Apreda, o DocManhattan, il nick con cui scrive cose sul web. Responsabile editoriale in passato di varie riviste, da PlayGeneration a Turisti per Caso, Digital Japan e Horror Mania, ha collaborato con IGN, Multiplayer, ScreenWeek, MTV, RAI, Paramount. Autore di fumetti e libri (come Tokyo - La Guida Nerd), cura dal 2007 il blog L’Antro Atomico del Dr. Manhattan antro.it. Ha una passione inestinguibile per il miso ramen. Lo trovate anche su Instagram