La crisi economica in Giappone si sta sentendo forte e chiara. I colossi nipponici continuano ad annunciare drastici tagli: dalla Nissan che ha deciso di ridurre i costi lasciando a casa 20mila dipendenti, alla Sony (16mila), alla Pioneer (10mila), a Panasonic (15mila), etc. E così il governo di Tokyo per correre ai ripari e trovare una soluzione all’emergenza disoccupazione, ha studiato una ricetta particolare, che ha anche il gusto del retrò: mandare i senza lavoro nei campi.
Insomma un processo inverso rispetto a quanto è avvenuto circa due secoli fa: trasferire nelle campagne i giovani disoccupati. L’obiettivo non è solo quello di trovare un lavoro alternativo ma di incoraggiare l’agricoltura. Un’esigenza di grande attualità per il Giappone che, nonostante la presenza di 3 milioni di agricoltori è, tra i Paesi sviluppati, il più dipendente dall’estero, dal quale importa ben il 60% degli alimenti necessari, secondo i dati che saranno presentati al primo vertice mondiale degli agricoltori dei Paesi appartenenti al G8, il “G8 Farmers Meeting” organizzato dalla Coldiretti per giovedì a Roma.
Il progetto fa parte del pacchetto per affrontare l’emergenza economica messo a punto dal primo ministro Taro Aso e prevede il coinvolgimento iniziale di 800 disoccupati, ai quali sarà finanziato uno stage iniziale della durata di 10 giorni per imparare a produrre e a vendere prodotti agricoli, ma sono successivamente previste permanenze della durata di un anno in villaggi agricoli.
Secondo Moteki Mamoru, presidente della potente organizzazione agricola giapponese Ja Zanchu, l’innalzamento al 50% del livello di autosufficienza alimentare è un obiettivo prioritario. Dal punto di vista della produzione il riso è il prodotto agricolo maggiormente coltivato in Giappone (valore della produzione pari al 22% del valore totale della produzione agricola giapponese) e si punta sull’impiego efficiente delle risaie, parte delle quali sono incolte. Ma è anche necessario – dice Moteki – un aumento della farina e della soia, la cui autosufficienza è inferiore al 10% anche per la produzione di mangimi per animali, fortemente dipendente dalle importazioni.