In pochi lo dicono esplicitamente ma in molti lo pensano: il rallentamento dell’economia statunitense dipinto dai dati macro di recente uscita (indici manifatturieri, prezzi delle case ed ordini beni durevoli tutti in calo) è stato indotto in parte dal disastro causato dal terremoto che ha colpito il Giappone l’11 marzo. Nulla di strano, sia chiaro, che l’economia sia un sistema globale è un fatto noto ed è quindi normale che il brutto incidente occorso alla componente giapponese (terzo motore in ordine di potenza della complessa macchina mondiale) abbia causato un rallentamento generalizzato.
Dal Giappone arrivano però segnali incoraggianti che permettono di ipotizzare un riassorbimento dello shock causato dall’accoppiata sisma e tsunami in tempi forse più rapidi di quelli previsti: un esempio tra tanti, il comparto auto, tra i più colpiti nei livelli di output e sicuramente tra i più rappresentativi, potrebbe riuscire a concludere l’anno fiscale 2011 con 8 milioni circa di vetture prodotte, solo il 10% circa in meno rispetto a quelle del 2010. Le fabbriche danneggiate sono state riparate a tempo di record ed i fornitori che non sono stati in grado di rimettersi velocemente in piedi sono stati sostituiti. Certo, i costi per la ricostruzione gettano qualche ombra sulla tenuta dei conti pubblici, ma il sistema industriale appare in grado di tornare a dare il suo contributo alla crescita globale. L’effetto di freno causato dal terremoto potrebbe essere già esaurito mentre all’orizzonte sembrano profilarsi i benefici della ricostruzione.
Ma allora è già il momento per tornare ad investire sulla borsa giapponese? Una risposta positiva fornirebbe utili spunti al risparmiatore domestico che in questo momento si deve confrontare con un panorama europeo anche esso vittima di un terremoto, pur se solo finanziario. L’azionario del Sol Levante potrebbe rappresentare una scelta alternativa allettante: lo scivolone in concomitanza del terremoto ne ha abbassato le quotazioni creando un margine potenziale di crescita maggiore rispetto a quello di Europa ed Usa. Se le borse dovessero decidere di ripartire quella nipponica potrebbe avere quindi una spazio di manovra superiore.
Il punto di partenza non è incoraggiante, il prodotto interno lordo reale giapponese del periodo gennaio-marzo si è contratto dello 0,9% sul trimestre precedente, pari a un calo annualizzato del 3,7%, ma le prospettive future non sono altrettanto deludenti e si sa che i mercati si muovono più sulle aspettative che sulla storia: secondo il ministro delle Politiche economiche Kaoru Yosano l’economia “ha la forza per riprendersi” e dovrebbe comunque espandersi intorno allo 0,6/0,7% nel corrente anno fiscale, che andrà a terminare a marzo 2012. E le cose dovrebbero andare ancora meglio nell’anno successivo. Secondo la Bank of Japan la ricostruzione permetterà alla ripresa di procedere ad un ritmo più veloce, fino al 2,9% nell’anno fiscale 2012.
Il terremoto ha anche avuto l’effetto di interrompere la deflazione che piagava l’economia da un biennio limitandone la crescita (tipici effetti della deflazione sono quelli di ritardare gli acquisti dei consumatori e gli investimenti delle aziende). Ad aprile i prezzi al consumo hanno fatto registrare il primo rialzo in 28 mesi con l’indice “core”, al netto di alimentari freschi, in progresso dello 0,6%, un segnale che permette alla Boj di prevedere per l’intero esercizio un’inflazione media dello 0,7%. Ecco quindi che il terremoto, drammatico per il costo in vite umane che ha imposto al paese, potrebbe rappresentare una sorta di big bang per l’economia, l’evento iniziatore di un nuovo corso positivo di crescita.
Storicamente la borsa giapponese si apprezza in corrispondenza di uno yen debole contro la moneta Usa (ma anche contro euro), per rendersene conto è sufficiente sovrapporre i grafici del Nikkei e quello del cambio dollaro yen e notare come le due curve tendano a seguire lo stesso percorso. Questo comportamento significa ovviamente che l’eventuale risultato positivo ottenuto dall’investitore domestico che compra strumenti legati all’azionario giapponese viene in parte ridotto dall’andamento del cambio. La volatilità delle azioni è tuttavia circa doppia rispetto a quella del cambio, quindi se la borsa si muove nella direzione giusta il risparmiatore è ragionevolmente certo di portare a casa un risultato netto positivo. Negli ultimi mesi la relazione inversa tra yen e Nikkei si è allentata, con il cambio stabile in un intorno dei 81/83 yen per dollaro e con un Nikkei invece in moderata crescita.
Difficile tuttavia credere fino in fondo alla prospettiva di un ulteriore incremento dei valori di borsa se anche il cambio non inizierà a mostrare un grafico in crescita, ovvero senza un yen cedente. Un segnale decisivo in favore dell’avvio di una fase di yen in calo contro dollaro Usa verrebbe al di sopra di area 85, top di aprile oltre il quale i prezzi potrebbero iniziare la correzione di tutta la discesa dai massimi di metà 2010. In caso di superamento anche di area 95 poi le possibilità di vedere salire ulteriormente le quotazioni sul grafico aumenterebbero considerevolmente, aprendo con buona probabilità la strada anche ad una fase di espansione duratura per la borsa.